Qualche giorno fa sono stato al museo di Karlshorst, quartiere residenziale nella parte est di Berlino, piuttosto distante del centro. Qui c'è il museo chiamato oggi "russo-tedesco", nella villa in cui, l'8 maggio 1945, il Colonnello generale Hans-Jürgen Stumpff (Luftwaffe), il Feldmaresciallo Wilhelm Keitel (Wehrmacht) e l'Ammiraglio Hans-Georg von Friedeburg siglarono la resa incondizionata delle forze armate tedesche alla presenza del Maresciallo Georgy Zhukov.
Forse a causa della distanza dalle più famose mete berlinesi, questo museo rimane per certi versi di secondo grado, ma l'importanza del luogo non ha bisogno di essere sottolineata e l'allestimento è veramente interessante, soprattutto in quanto il museo ha riaperto da circa un mese dopo un notevole periodo di chiusura per lavori di restauro e riprogettazione. L'ingresso è gratuito!
Prima dell'occupazione sovietica, la villa era una mensa e casa di ritrovo per ufficiali della Wehrmacht. Alla fine della guerra, dal 1945 al 1949, fu sede dell'Amministrazione militare sovietica in Germania, di fatto insomma la sede del governo provvisorio della Germania Est, prima che esso passasse in mano al Partito socialista della DDR. Vi rimase insediata una Commissione di controllo sovietica fino al 1953, e dagli anni '60 vi venne aperto il museo della vittoria, rinominato e rinnovato poi nel 1995 come "russo-tedesco".
L'allestimento presente corre dalla Prima guerra mondiale al secondo dopoguerra, e al contatto tra tedeschi e russi nella DDR. Vengono rimarcati i crimini nazisti, con particolare accento sulle condizioni dei prigionieri di guerra nei campi di lavoro tedeschi, e la miseria della vita civile nei territori occupati, ma anche le condizioni dei prigionieri tedeschi alla fine del conflitto e negli anni successivi, nei campi dell'URSS. Molto spazio è lasciato alle storie personali, e all'impatto del conflitto sulle vite dei singoli, dai civili, ai partigiani, o soldati semplici dei due schieramenti, a quelle dei grandi attori politici e militari. Nel complesso, più che un mea culpa collettivo, il messaggio che efficacemente passa è quello dell'idiozia della guerra come strumento di risoluzione o conquista. Ma bando alle ciance...